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giovedì 7 giugno 2012

All'asta il casco di Simoncelli: sarà battuto in Inghilterra

Paolo Simoncelli ha consegnato il casco ai 14 ragazzi del Vespa Club di Morciano che in sella a vespe d'epoca lo porteranno a Londra







Rimini, 5 giugno 2012 - Dalla Romagna all’Inghilterra in sella a 14 vespe d’epoca: si chiama “Road To London for Sic” il viaggio dedicato al mitico numero 58 organizzato da alcuni ragazzi del Vespa Club di Morciano di Romagna.
Paolo Simoncelli ha consegnato oggi ai 14 vespisti, amici del grande pilota, una riproduzione del casco di Sic, destinata ad essere battuto all’asta nell’ambito di Riders for Health, storica e consolidata iniziativa benefica organizzata assieme alla Dorna in occasione del Gran Premio d’Inghilterra a Silverstone in calendario a metà giugno.



La riproduzione - che porta la firma di Davide Degli Innocenti, racing designer che realizza per Drudi Performance tutti i prototipi destinati ad essere indossati dai grandi campioni della MotoGp - verrà consegnata a Carmelo Ezpeleta, Ceo della Dorna.

Parte del ricavato andrà a favore della Fondazione Marco Simoncelli attiva nel sostegno dei soggetti svantaggiati.

Oltre al casco andranno all’asta nella medesima occasione anche un ritratto del Sic e un esemplare della felpa disegnata da Aldo Drudi, grande amico di casa Simoncelli, per celebrare l’iniziativa.



Un’avventura lunga una settimana, in sella alle storiche Vespe per un totale di 1958 km suddivisi in sei tappe, quella che si apprestano a vivere gli amici del Sic, che intendono portare oltremanica il nome della Fondazione nata in omaggio e in ricordo di Marco.


"La MotoGP senza Sic e' come venire in Romagna e non mangiare la piadina! – dichiarano dal Vespa Club di Morciano di Romagna - Onoreremo con semplicità il nome di un ragazzo che con la sua autenticità ha fatto conoscere in tutto il mondo la genuinità romagnola che ci appartiene! Come vivremo questa avventura..? Non lo sappiamo ancora, ma una volta arrivati a destinazione urleremo a squarciagola ...Diobò che bello!!! E’ per noi quindi – concludono - motivo di orgoglio e di soddisfazione organizzare ed esportare in ambito internazionale questa iniziativa come contribuito concreto a sostegno della Fondazione e del suo encomiabile impegno umanitario avviato in memoria di Marco.”



La partenza della Road To London for Sic è fissata per l’8 di giugno dal Bar Joe di Morciano di Romagna, sede del Vespa Club. Per seguire in tempo reale l’iniziativa www.facebook.com/RoadToLondonForSic.

mercoledì 30 maggio 2012

Modica: Rivissuta la tragedia del pilota gentleman Gigi Olivari a 55 anni dalla morte L’amministrazione e il CTCM recuperano tra amarcord e cioccolato una memoria cittadina



Una corona d’alloro alla stele dedicata a Gigi Olivari tragicamente morto nell’aprile del 1957, quando a bordo della sua Maserati stava transitando sulla Modica – Ispica partecipando alla XVII edizione del giro di Sicilia, ha chiuso stamani una piccola e sobria cerimonia rievocativa di quell’evento di cui quest’anno il Consorzio di tutela del Cioccolato artigianale di Modica e l’amministrazione comunale hanno voluto rendere omaggio recuperando un pezzo di memoria sportiva della Città, da troppo tempo caduta nell’oblio.
La giornata si è aperta in piazzetta 8 marzo con l’arrivo di venticinque equipaggi, provenienti da tutta Italia, bellissime auto d’epoca che partecipano al Gran Tour internazionale di Sicilia promosso dall’associazione “La Sicilia dei Florio”, che hanno fatto sosta, per questo evento, nel museo del cioccolato accolti dal direttore del CTCM, Nino Scivoletto, dagli Assessori allo Sport, Tato Cavallino, allo Sviluppo Economico, Nino Frasca Caccia e al centro storico Giovanni Spadaro.
Nel corso della sosta ( il Tour è partito lunedì scorso da Piazza Politeama a Palermo farà sosta a Noto, Siracusa, e poi Acireale) gli ospiti hanno potuto ammirare l’Italia in miniatura di cioccolato, le sculture di Cioccolato, e hanno mostrato molta curiosità per la storia del cioccolato di Modica che è stata lungamente illustrata, dopo i saluti di Tato Cavallino in nome dell’amministrazione, dal direttore del CTCM. Per l’occasione è stato promosso un annullo postale dell’evento rievocativo e personalizzata una barretta di cioccolato.
Il giornalista Gianni Contino ha, invece, rievocato grazie agli articoli del padre Lillo, corrispondente del Giornale di Sicilia dell’epoca, quel tragico avvenimento che ribaltò il nome della Città nelle cronache dei media di tutto il mondo. Il suo racconto, preciso e puntuale anche nei particolari è stato accompagnato da un video di foto suggestive di quella corsa e di quei terribili momenti in cui non fu assolutamente possibile salvare Gigi Olivari arso vivo sotto la sua Maserati avvolta dalle fiamme alimentate dal pieno di benzina effettuato prima nella sosta di Ragusa. Un racconto sul filo della cronaca e dell’emozione compreso la testimonianza del pilota sportivo Vito Veninata che di quel momento ha narrato un vivido ricordo.




Il figlio di Gigi Olivari,l’ing. Mario ha inviato un nota, (sopravvenuti impegni non gli hanno consentito di essere presente a Modica), di riconoscenza agli organizzatori e a quanti si sono prodigati a ricordare questo momento.
Il Presidente de”La Sicilia dei Florio” il barone Giuseppe Giaconia di Migaido ha poi offerto come dono delle ceramiche artistiche siciliane ( è il tema del tour di quest’anno) sia al Direttore del CTCM e all’assessore Cavallino. Dopo l’immancabile assaggio di cioccolato di Modica la carovana si è trasferita sulla Modica- Ispica, passando per la via interna “Torre Cannata –Olivieri”, sino alla stele, finalmente ripulita di erbacce e dall’aspetto presentabile, che ricorda il pilota gentleman tragicamente scomparso.
“E’ nostro intendimento lasciare un segnale importante legato al nome di Gigi Olivari , dichiarano il Sindaco e l’assessore Tato Cavallino, che peraltro caratterizza un luogo, una curva, un fatto nella memoria dei modicani. Così come è stato chiesto da più parti intitoleremo la Via Torre Cannata-Oliveri” a Gigi Olivari chiudendo così un percorso naturale di una denominazione che nei fatti è dettata da un pezzo di cronaca e dalla storia sportiva, pur se tragica, di questa città.”

Nella piazza saranno sistemate 30 d’auto da corsa d’epoca comprese le Maserati .
La rievocazione promossa dal Consorzio di tutela del cioccolato artigianale di Modica e dall’assessorato allo Sport dell’Ente prevede la commemorazione di Gigi Olivari da parte del figlio, Mario, a cui seguiranno l’ illustrazione di una documentazione, compresa video, delle gesta sportive del pilota che trovò a cinquant’anni tragica morte nel territorio della città.
Questi alcuni stralci di report che raccontano di quel tragico momento:
“… La carreggiata della strada, come tutte quelle del tempo, era caratterizzata anche dalla classica sezione a schiena d’asino, fiancheggiata da due banchine pavimentate con selci di pietra calcarea, già allora consunti ed estremamente viscidi. La pioggia li trasformava con tutto il resto in un percorso estremamente insidioso. Allora si raccomandava di stare attenti a “u sciddicu”. Muretti di pietra a secco completavano la “pista.
Olivari percorse la retta a tutta velocità. Si trovò presto di fronte alla prima curva a sinistra. Probabilmente non la valutò o non la ricordò nella sua esattezza configurazione. Forse ingannato anche dalla pioggia non ne percepì la vera ampiezza. Gigi tentò di inserire la macchina nella migliore traiettoria, (la velocità era molto elevata, frenò, forse fece in tempo a scalare una marcia), ma la bella Maserati scartò a sinistra, investì un paracarro. Olivari ne perdette il controllo. Come impazzita la bella Maserati puntò contro il muro di pietra all’esterno e contro di esso si schiantò. Quindi si impennò in aria e ricadde capovolta sull’asfalto. Immediate le fiamme l’avvolsero in un rogo impenetrabile. Inutile ogni tentativo di recare soccorso. In quei concitati istanti non mancarono gli slanci generosi di spettatori che avrebbero voluto liberare Olivari. Non ci fu nulla da fare…”
Poi dalla Cinconvallazione Ortisiana si muoverà un corteo lungo la Via Torre Cannata sino alla stele sulla Modica – Ispica, sistemata e ripulita, dedicata al pilota genovese, ma sardo di adozione, dove sarà posta una corona d’alloro dell’amministrazione comunale.
“E’ un pezzo di storia sportiva, pur tragica, che intendiamo, di concerto con il Consorzio del cioccolato, recuperare, commenta Tato Cavallino assessore allo sport, a beneficio di quanti non c’erano e di quanti non hanno più memoria di una cronaca sportiva che ribaltò il nome della città nelle cronache sportive nazionali del tempo.
Ci è sembrato giusto a 55 anni di quella tragedia fare riemergere dall’oblio quell’avvenimento che intendiamo raccontare alle giovani generazioni perché attraverso quell’episodio tramando un significativo frammento storico della nostra città.”

martedì 29 maggio 2012

Castellucchio celebra la vita di Guido Leoni



Domenica 6 maggio è giunto alla sua 12° edizione il Memorial Guido Leoni, il motociclista
morto nel 1955 al Ferrara, alla prova di Campionato Italiano di Velocità per moto 125.

La storia di Guido Leoni, fatta di tanta tenacia e tanta sfortuna, è una dolorosa storia del motociclismo di una volta: corse che si tenevano su tracciati pericolosi e durissimi, prove estenuanti, mezzi meccanici ufficiali e tante moto di scuderie private. Una gavetta durussima che Leoni aveva percorso tutta fino alla vetta, ma proprio sul più bello, all'età di 36 anni, fu falciato via per una caduta che lo fece investire, come Marco Simoncelli, dai piloti che lo seguivano. Il Memorial Guido Leoni vuole essere una festa ed un ricordo, ed in questa sua dodicesima edizione ha attratto tanti partecipanti, che si sono radunati domenica 6 maggio a Castellucchio per un giro turistico di 40 chilometri ed una prova di due giri cronometrati sul circuito di Castellucchio.

lunedì 28 maggio 2012

Modica: Ricordo di Gigi Olivari a 55 anni dalla morte. Corona d’allora alla stele Cerimonia rievocativa promossa dal CTCM e dall’Assessorato allo Sport per il 30 maggio





La cerimonia rievocativa del 55° anno della morte di
Gigi Olivari, il pilota genovese tragicamente morto a bordo della sua Maserati A6GCS nel corso della XVII edizione del giro di Sicilia a causa di un incidente sulla Modica – Ispica, si terrà mercoledì 30 maggio alle ore 10.0o nella sede del museo del cioccolato in piazza 8 Marzo a San Francesco La Cava.
Nella piazza saranno sistemate 30 d’auto da corsa d’epoca comprese le Maserati 2000 – 333. La rievocazione promossa dal Consorzio di tutela del cioccolato artigianale di Modica e dall’assessorato allo Sport dell’Ente prevede la commemorazione di Gigi Olivari da parte del figlio, Mario, a cui seguiranno l’ illustrazione di una documentazione, compresa video, delle gesta sportive del pilota che trovò a cinquant’anni tragica morte nel territorio della città.
Questi alcuni stralci di report che raccontano di quel tragico momento:
“… La carreggiata della strada, come tutte quelle del tempo, era caratterizzata anche dalla classica sezione a schiena d’asino, fiancheggiata da due banchine pavimentate con selci di pietra calcarea, già allora consunti ed estremamente viscidi. La pioggia li trasformava con tutto il resto in un percorso estremamente insidioso. Allora si raccomandava di stare attenti a “u sciddicu”. Muretti di pietra a secco completavano la “pista.
Olivari percorse la retta a tutta velocità. Si trovò presto di fronte alla prima curva a sinistra. Probabilmente non la valutò o non la ricordò nella sua esattezza configurazione. Forse ingannato anche dalla pioggia non ne percepì la vera ampiezza. Gigi tentò di inserire la macchina nella migliore traiettoria, (la velocità era molto elevata, frenò, forse fece in tempo a scalare una marcia), ma la bella Maserati scartò a sinistra, investì un paracarro. Olivari ne perdette il controllo. Come impazzita la bella Maserati puntò contro il muro di pietra all’esterno e contro di esso si schiantò. Quindi si impennò in aria e ricadde capovolta sull’asfalto. Immediate le fiamme l’avvolsero in un rogo impenetrabile. Inutile ogni tentativo di recare soccorso. In quei concitati istanti non mancarono gli slanci generosi di spettatori che avrebbero voluto liberare Olivari. Non ci fu nulla da fare…” Poi dalla Cinconvallazione Ortisiana si muoverà un corteo lungo la Via Torre Cannata sino alla stele sulla Modica – Ispica, sistemata e ripulita, dedicata al pilota genovese, ma sardo di adozione, dove sarà posta una corona d’alloro dell’amministrazione comunale.
“E’ un pezzo di storia sportiva, pur tragica, che intendiamo, di concerto con il Consorzio del cioccolato, recuperare, commenta Tato Cavallino assessore allo sport, a beneficio di quanti non c’erano e di quanti non hanno più memoria di una cronaca sportiva che ribaltò il nome della città nelle cronache sportive nazionali del tempo. Ci è sembrato giusto a 55 anni di quella tragedia fare riemergere dall’oblio quell’avvenimento che intendiamo raccontare alle giovani generazioni perché attraverso quell’episodio tramando un significativo frammento storico della nostra città.”


mercoledì 29 giugno 2011

Nel ricordo di Tim Buckley


di Athos

Trentasei anni fa moriva Tim Buckley .
Per tracciare un degno profilo, ho dovuto "saccheggiare" le opinioni di altri, per mia inadeguata conoscenza (un libro letto ed un disco ascoltato non sono sufficienti per presentarlo degnamente).
Spero almeno che il mio "taglia e cuci" induca a qualche approfondimento l'eventuale lettore.


Tim Buckley e` il cantante piu` geniale della storia della musica rock, e forse dell'intera storia della musica.
Fu il primo dei moderni singer-songwriter, il primo ad alterare completamente il modello inventato da Bob Dylan, e rimane uno dei più grandi di tutti i tempi; ma definirlo "cantautore" e` limitativo.
Buckley era poco interessato ai testi (che infatti faceva scrivere al suo collaboratore Larry Beckett). L'arte di Buckley era tutta musicale, ed era un'arte d'atmosfera. Buckley usava tecniche straordinarie sia di canto sia di arrangiamento per scolpire atmosfere quasi cosmiche. Con la psichedelia la musica aveva cominciato un viaggio verso mondi diversi da quello terreno di cui si era sempre occupata la musica folk. Buckley continuò quel viaggio fino alla fine, scoprendo mondi sempre più lontani e sempre più insoliti.
Il percorso esteriore di questo "viaggiatore delle stelle" (come si definì lui stesso) era in parallelo un percorso interiore, alla ricerca di se stesso. La sua musica fu sempre una musica di scavo psicologico, anche quando si riallacciava alla canzone d'attualità del Greenwich Movement.Purtroppo quel percorso si concluse in un cimitero.
Buckley fu in gran parte estraneo ai subbugli delle due capitali della musica giovanile, distrattamente partecipe della protesta umanitaria di New York e vagamente imparentato con gli hippies di San Francisco. Buckley era certamente figlio della stessa era (tanto che di droghe morirà), ma la sua fu sempre una carriera molto isolata.
Il "sound" era il cuore della sua musica, e per ottenere quel sound Buckley navigò lo spazio del jazz e delle tradizioni orientali, oltre a quello del folk e del rock.
Come Captain Beefheart e Frank Zappa, anche Buckley apparteneva a un concetto alternativo di musica, un concetto che a Los Angeles non si espresse però mai sotto forma di movimento politico.
Buckley esibì fin dall'inizio una purezza artistica piuttosto rara nel mondo della musica rock.
L'elemento più originale dei suoi dischi era il canto, inizialmente ispirato da Fred Neil, che Buckley continuò a raffinare per anni.
Le sue conquiste in questo campo sono degne della musica d'avanguardia e certamente del jazz. Il suo canto era davvero un altro strumento, più simile alla tromba e al sassofono del jazz che al baritono della musica pop.
Come ebbe a dire il suo collaboratore Lee Underwood, Buckley fu per il canto ciò che Hendrix fu per la chitarra.
Le acrobazie del virtuoso erano soltanto una parte della storia. Gli esperimenti sul canto servivano a Buckley per comporre una narrazione altamente psicologica, fatta di allucinazioni e voli, dialoghi e silenzi, confessioni e deliri. Il suo gioco intricatissimo di gemiti, urla, guaiti, vocali estatiche, sussurri nevrotici, sussulti isterici, quel modo di quasi piangere cantando costituivano un vocabolario e una grammatica di grande effetto.
Buckley cominciava le canzoni imbastendo un racconto, soppesando le parole, ma poi le parole perdevano significato e diventano semplice suono, e infine puro delirio. E, man mano che perdevano la loro qualità "terrena", diventavano anche la chiave per accedere a un "oltre", a un'altra dimensione, una dimensione di puro spirito.
Il canto non era che uno degli strumenti, comunque.
Buckley arrivò a impiegare un ensemble da camera (percussioni, tastiere, fiati) per i capolavori della maturità. Nella sua arte vocale confluivano lo spirutual, il gospel e le austere tecniche tibetane (forse la proposta più originale di fusione fra occidente e oriente), ma Buckley rielaborò le sue fonti fino a pervenire a uno stile unico e personale.
Il ritmo era altrettanto duttile, di volta in volta una pulsazione ossessiva che percuote la mente, oppure un lieve trepestio che guida il cuore nei suoi titanici sforzi, oppure un serrato "jazzato" che vibra senza pause colorando di una strana frenesia la fantasia sospesa ad altezze vertiginose, oppure ancora un gentile vento soul che si distende in dolci e impalpabili sottofondi naturali.
Dalla fusione fra tutti questi elementi rivoluzionari avevano origine canzoni che sono poesie malinconiche ambientate in un mondo devastato da una follia tanto fievole quanto immane.
Più che narrare Buckley si lanciava in deliri, in flussi di coscienza, in associazioni libere.
La narrazione si spegne e si riattizza, s'infiamma ed esplode, si placa e collassa, s'inalbera epica e s'affloscia moribonda. La sensazione e` davvero quella di un viaggio fra le stelle, ma e` anche quella di una seduta psicanalitica, di un viaggio dentro la coscienza squilibrata di un caso incurabile. La musica fotografa una psiche che si dibatte spasmodicamente in un torbido impasto di cupe emozioni primordiali, in bilico sul baratro del suicidio, e ogni tanto riaffiora, ancora dolorosamente viva, palpitante.
La colonna sonora di questo tormento interiore era uno splendido caos musicale.
Buckley aprì una nuova era per il canto d'autore, anche se all'epoca nessuno se ne accorse, neppure lui che si professò sempre figlio del rhythm and blues.
Da un lato le sue acrobazie canore coniarono un'arte onomatopeica modulata all'infinito. Dall'altro il suo genio naive architettò arrangiamenti sempre più complessi e "colti", esplorando rabdomanticamente filoni tanto diversi quali il free-jazz, la linea genealogica blues- spiritual- gospel- soul, la musica latino-americana, il primitivismo africano.
I capolavori di Buckley sono brani estesi che hanno poco in comune con la "canzone".
Lo svolgimento e` libero e non c'e` ritornello. La melodia viene smembrata e distorta, allungata in una struttura lenta e strisciante che e` l'equivalente di un sogno. "Lorca" e "Gypsy Woman " sono brani senza fine in cui Buckley spalanca le porte della percezione e irrompe in un vuoto siderale.
Il passo epico dei primi dischi diventa via via sempre piu` astratto. Il tono tragico, in sordina, rimarrà sempre lo stesso, ma si tingerà di colori sempre piu` grigi, sempre più depressi. L'incedere, a sua volta, diventerà sempre più convulso, istericamente conteso fra pause in cui tratteneva il fiato e rovesci febbrili di emozioni, come se il cantante fosse scosso da improvvise e atroci illuminazioni di un tremendo segreto o precipitasse a capofitto in abissali inferni esistenziali. La musica di Buckley inseguiva un'idea, non importa dove questa si spingesse. Spesso si limitava a precipitare, senza vedere il fondo, in un buio di pupille sbarrate e di mani protese, in un'orgia eterna di grida disperate e di lamenti raccapriccianti. Buckley vagava in quello spazio di infinito nulla alla ricerca forse, di un'idea che fosse anche di salvezza. La sua carriera fu un lungo incubo privato. Buckley passò la vita a inseguire i suoi fantasmi interiori in labirinti di suoni e per itinerari cosmici, ma si era perso fin dall'inizio, e ciò che fa grande la sua arte e` che non aveva speranza di ritrovarsi. Quello di Buckley fu un incubo durato una vita, l'incubo di un naufrago alla deriva, che verrà alla fine ucciso dall'orizzonte con cui discorreva giorno e notte.
Questo approccio onirico, visionario, allucinato alla musica era certamente imparentato con l'acid-rock californiano, scaturiva da una sottocultura della droga intesa come liberazione e catarsi; ma a quell'approccio propenso a sondare gli abissi della mente, Buckley aggiunse un elemento di introversione e introspezione che procedeva quasi in direzione opposta alle celebrazioni di estasi pubblica dell'acid-rock. Ciò non toglie che, assillato da un profondo malessere esistenziale, Buckley fosse un personaggio più universale di quanto volesse essere, ma per puro caso: Buckley era un menestrello paranoico del disagio esistenziale della sua generazione, un perdente emarginato nella società dei consumi, un missionario dell'anticonformismo intellettuale come lo erano stati i beatnik, succube e non protagonista della vita.
Buckley esprimeva l'insofferenza per i valori dell'"american way of life" nello stesso modo in cui l'avevano espressa i poeti beat e i pittori astratti.
Tim Buckley nacque a Washington nel 1947, crebbe a New York e si trasferì ancora bambino in California. Si formò nei locali folk di Los Angeles, mentre frequentava la high school insieme con l'apprendista poeta Larry Beckett e con l'apprendista bassista Jim Fielder.
A quindici anni suonava il banjo in un complesso folk, ma ammirava soprattutto la potenza vocale dei cantanti blues, la creatività del free-jazz e il potere espressivo di tanta world-music. Buckley, Beckett e Fielder formarono prima i Bohemians e poi gli Harlquin 3.
Esercitandosi a controllare il respiro e le corde vocali per ottenere la massima duttilità del canto (suo modello la grande Yma Sumac), Buckley scoprì la sua vera vocazione. Abbandonati gli studi e la moglie (frutto di una scappata dell'ultimo anno di high school), Buckley prese a esibirsi al "Troubadour", dove fece conoscenza con il chitarrista Lee Underwood.
Herb Cohen, il manager di Frank Zappa, lo scoperse che aveva appena diciotto anni, ma era già` un fenomeno, sia per la prodigiosa estensione vocale, sia per i diversi stili musicali che amalgamava nelle sue canzoni.
La sua personalità timida e sensibile, dolce e malinconica, schiva e modesta non si addiceva all'ambiente della musica rock. Buckley rimase sempre un ragazzo solitario. Scontava pero` l'isolamento con una massiccia dipendenza dalle droghe pesanti.
Buckley registrò il primo album, "Tim Buckley" , nell'arco di tre giorni nel 1966, (mentre nasceva suo figlio Jeff Buckley), circondato da uno stuolo di prestigiosi sessionmen reclutati da Cohen (Billy Mundi alla batteria, Van Dyke Parks alle tastiere, Jack Nitzsche per gli arrangiamenti d'archi, oltre a Underwood e Fielder).
Le canzoni sono tipiche dello stile dell'epoca, a metà strada fra Bob Dylan e la musica leggera. L'album si distingue dai tanti dell'epoca per un tono medio più fatalista e rassegnato.
La novità di maggior rilievo e` forse l'arrangiamento jazzato, e talvolta orchestrale.
Buckley ha 19 anni, e` incerto e titubante, soprattutto al cospetto dei più smaliziati collaboratori.
Gli riescono bene tenui bozzetti adolescenziali come "Valentine Melody" e "Song Of The Magician", ma la voce non ha modo di librarsi come "Song Slowly Song "lascia intuire.
Il secondo album," Goodbye And Hello "( 1967), fu ispirato "Blonde On Blonde" di Dylan, che Buckley, Fielder e Underwood passarono mesi ad ascoltare e imitare.
Ambizioso e pretenzioso come l'album di Dylan, l'album di Buckley non riesce a trovare lo stesso magico equilibrio, ma costituisce comunque un gigantesco balzo in avanti per l'autore.
Buckley, in particolare, riesce a meglio amalgamare gli strumenti (compresi percussioni e tastiere).
Forse anche per l'influenza del produttore di turno, che volle dare all'album un sound rinascimentale, Buckley ricorre a una strumentazione che ha del sontuoso per un folksinger.
Il talento versatile ed eccentrico di Buckley ha comunque modo di emergere pienamente in canzoni toccanti che oscillano fra il lirismo favolistico alla Leonard Cohen, le pose dylaniane di "Je Accuse", e uno spleen di fragile bellezza.
Questo disco e` una raccolta di poesie sull'individuo che si presenta inerme al cospetto della pazzia del mondo.
Buckley rivelò la sua immensa carica emotiva con "Happy Sad "(1968).
Da qui Buckley comincia a essere se stesso.
Al confronto di "Happy Sad", il successivo" Blue Afternoon "( 1969) e` meno album di gruppo e più album del cantante. La batteria prende il posto delle congas e l'ensemble e` più disciplinato (forse anche perché Buckley fece anche da produttore).
Il disco continua comunque la messa a punto di un folk-jazz comunicativo, raffinato e cesellato fino all'ultima nota. La forma canzone (il ritornello, il ritmo, i tre minuti, eccetera) non esiste più, ma al suo posto subentra una forma canzone d'autore che la rinnova senza indulgere in eccessivi sperimentalismi: il canto fluisce libero su un accompagnamento casuale fatto di punteggiature ritmiche e tocchi colorati. Le canzoni sono solitarie confessioni autobiografiche, sospese fra onirismo freudiano e trance psichedelica.
Dal folk-jazz si passa con "Lorca "( febbraio 1970) al "free-folk"."
Se gli album precedenti avevano comunque subito l'influenza dei collaboratori e/o del pubblico, "Lorca" e` un album scritto per se stesso.
Lasciati liberi Friedman e Miller, la strumentazione si arricchisce nella sezione delle tastiere. L'ensemble si compone ora di congas, chitarra, piano elettrico. Il sound e` scheletrico. L'assenza di un ritmo gli conferisce staticita` e imponenza, a immagine e somiglianza dell'eternità.
I brani, lunghi e tesi, labirinti sonori di infima depressione, sono percorsi da brividi stremanti, frutto di una tristezza che rovista baratri senza fondo; Buckley e` alla deriva in un coma cosciente. E` un pianto assoluto, senza ritorno.
"Starsailor "(novembre 1970), da molti considerato il suo capolavoro e uno dei massimi dischi di tutti i tempi, e` il punto d'arrivo della folk-jazz fusion di Tim Buckley. E` al tempo stesso il suo album più visionario, psicologico, astratto, psichedelico, pittorico e jazz.
Buckley e` ormai dotato di una perfetta padronanza di tutte le tonalita` della voce e mette a frutto la maturità raggiunta. Gli ingredienti principali del disco sono il jazz e la psichedelia, che gli conferiscono una carica di energia spasmodica, il coraggio necessario per compiere una traversata cosmica che e` in realtà una traversata della mente.
Buckley incise poi altri due dischi mediocri e scolastici di ottuso soul-rock, con tanto di coro e sezione d'archi.
"Sefronia "(1973) contiene ben poco degno di nota ,e" Look At The Fool"(1974) fa il verso al soul orchestrale di Al Green .
Tim Buckley mori` per overdose nell'estate del 1975 a Santa Monica.
Aveva 28 anni.
Lasciava un figlio che non l'aveva praticamente conosciuto, Jeff Buckley.
La critica rock non lo aveva apprezzato per nulla o lo aveva appena citato.
La "Encyclopedia", la "Storia" e l'"Album Guide" di Rolling Stone non gli dedicarono una sola riga, la "Penguin Encyclopedia" gli dedicò qualcheriga distratta.
"Starsailor "era stato recensito a pieni voti soltanto dalla rivista jazz "Downbeat" e (anni dopo) in Europa.
Postumi vedranno la luce diverse registrazioni di concerti dal vivo. Da evitare le antologie, che privilegiano quasi sempre gli album più banali.



martedì 31 maggio 2011

Muore l’attore americano Jeff Conaway, star di “Grease”



Si è spento lo scorso venerdì Jeff Conoway, famoso per aver interpretato il ruolo di Kenickiein “Grease”. L’attore americano è morto all’età di 60 anni nel letto d’ospedale dov’era ricoverato dallo scorso 11 Maggio in seguito ad un’overdose di farmaci.


sabato 12 marzo 2011

Nilla Pizzi, ''una voce rose e fiori'' (In memoriam)

«È stata la numero uno tra le cantanti italiane, nessuna ha avuto la sua popolarità: le volevano bene in tutto il mondò».
Addio Nilla ci resta il tuo sorriso stupendo e le tue memorabili canzoni..



lunedì 28 febbraio 2011

E’ morta l’attrice francese Annie Girardot


Aveva 79 anni l’attrice francese Annie Girardot ed è morta purtroppo perchè da tempo soffriva di Morbo di Alzeheimer, una delle figure più importanti e prestigiose del cinema francese, nata il 25 ottobre del 1931, la Girardot, allieva del conservatorio di Rue Blanche, inizia a lavorare di sera alla fine degli anni 40 nei cabaret parigini con il nome di Annie Girard. Nel 1954 inizia a lavorare alla Comedie Francaise dove è notata da Jean Cocteau. Nel ‘56 debutta al cinema in Treize a’ table, per il quale vince il Prix Suzanne Bianchetti.

L’attrice che prima di fare l’attrice pensava di diventare infemiera ha rappresentato non solo il cinema francese ma anche quello italiano degli anni 60 e 70, il grande successo arriva con il film capolavoro Rocco e i suoi fratellidove interpreta Nadia al fianco di Alain Delon e Renato Salvatori.

Nel 2002 viene premiata con il Cesar per la migliore attrice non protagonista per La pianista di Michael Haneke, con il quale torna a recitare quattro anni dopo in Niente da nascondere.

mercoledì 16 febbraio 2011

Addio a Dorian Gray

Si è tolta la vita Maria Luisa Mongini, aveva 75 anni. Celebre per Totò, Peppino e... la Malafemmina, lavorò con Fellini e Antonioni


Dorian Gray, nome d'arte di Maria Luisa Mongini, si è uccisa a 75 anni con un colpo di pistola a Torcegno, nel Trentino, dove viveva dalla metà degli anni Sessanta, dopo aver lasciato la carriera. Attrice di rivista e cinema, deve la sua fama soprattutto al film Totò, Peppino e... la Malafemmina, del 1956, film nel quale aveva recitato anche con Teddy Reno.Nata a Bolzano nel 1936, a soli 14 anni era già sul palcoscenico accanto a Gino Bramieri ed Erminio Macario in "Votate per Venere". Un tale successo che la porta accanto alla signora del varietà, Wanda Osiris, in "Gran baldoria" di Garinei e Giovannini.Il cinema arriva dopo uno spettacolo teatrale, l'ultimo che fa, con Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi. Nel 1956, a vent'anni, è la protagonista di Totò, Peppino e... la Malafemmina. L'anno dopo arriva l'ingaggio per Le notti di Cabiria di Federico Fellini, dove interpreta il ruolo di Jessy, la fidanzata bella, ricca e snob di Amedeo Nazzari. Nello stesso anno interpreta il ruolo della benzinaia Virginia ne Il Grido di Michelangelo Antonioni. Nel 1958 riceve un Nastro d'Argento come migliore attrice non protagonista per Mogli pericolose di Luigi Comencini. Poi lavora con Dino Risi (Il mattatore, 1960) e Mario Camerini (Crimen, 1960). L'ultimo suo film è stato Fango sulla metropoli del 1965. Poi, a soli 30 anni, rimasta incinta si ritira dalle scene, trasferendosi a Torcegno dove fa costruire una sontuosa villa. Qui cresce il proprio figlio conducendo una vita lontana dai riflettori e dalla mondanità del mondo dello spettacolo. Fino al suicidio.

lunedì 7 febbraio 2011

Addio a Tura Santana, regina del genere sexploitation

  




  
Un'infanzia tormentata prima di stregare anche Elvis Presley e il regista Russ Meyer che le diede la notorietà



Fu tra le primissime fidanzatine di Elvis Presley, divenne un'icona del genere sexploitation, B-movies americani degli anni Sessanta, scollacciati e schizofrenici, e Quentin Tarantino ne era talmente affascinato da ispirarsi al suo personaggio per il ruolo della Sposa, affidato a Uma Thurman nella saga di Kill Bill!. È morta venerdì sera, a Reno, in Nevada, l'attrice Tura Satana, che fu Varla nel cult movie Faster, Pussycat! Kill! Kill!, diretto da Russ Meyer nel 1965.

TURA - Tura Luna Pascual Yamaguchi aveva 72 anni, essendo nata a Hokkaido, in Giappone, nel 1938 - ma alcune fonti dicono 1935 - da un attore giapponese dell'era del muto, mentre sua madre aveva origini cheyenne, irlandesi e scozzesi. Proprio a causa della nazionalità del padre, Tura, ancora piccola, fu internata con la famiglia nel campo di concentramento di Manzanar, in California, dove negli anni della seconda guerra mondiale vennero rinchiusi oltre 110 mila americani originari del nemico Giappone.



RUSS MEYER - Tura Satana deve la sua fama al film di Meyer, dove appare in stivali, guanti e maglia nera aderente, e interpreta una spogliarellista a capo di una gang che include altre due giunoniche ragazzotte, Billie e Rosie, a caccia di soldi e guai nel deserto solcato a bordo di potenti automobili. Tra piccoli ranch e stazioni di servizio le tre delinquenti sequestrano, uccidono e riempiono di botte una serie di malcapitati. Varla combatte a colpi di karate, in un film che in breve tempo divenne un mito per le femministe degli anni Sessanta (Varla e soci picchiano soprattutto gli uomini, e nella storia compare un ragazzo massiccio, il Vegetale, incapace di parlare e rapportarsi con l'altro sesso). Ma soprattutto Faster Pussycat! divenne un cult dei B-movies: lo stesso Tarantino da tempo vorrebbe girare un remake della pellicola, e per la parte di Varla avrebbe pensato a Britney Spears. Il film ispirò anche il video di un celebre pezzo della rock band svedese dei Cardigans, My favourite game, dove la cantante Nina Persson guida nel deserto a velocità pazza, in completo nero e guanti, proprio come Varla.

VARLA - Dopo il suo primo successo Tura comparve in altri B-movies, come The Astro-Zombies(1968) e The mark of Astro-Zombies (2002). Ma la sua notorietà resta legata alla figura vampiresca di Varla, e alla storia d'amore con Elvis Presley: la ex groupie Pamela Des Barres ha intervistato Tura nel libro Let’s Spend the Night Together, dove si racconta che The Pelvis, appena 17enne, restò affascinato a guardare uno spettacolo dell'allora ventenne Satana, per «il modo in cui lei muoveva il suo corpo e teneva in ostaggio i marinai, come oggetti sessuali». La leggenda vuole che Tura abbia insegnato a Elvis come si bacia una donna, e che fino alla fine dei suoi giorni abbia indossato l'anello che lui le regalò.


INFANZIA DIFFICILE - L'infanzia difficile dell'attrice, dopo l'internamento in California, era proseguita a Chicago, in un quartiere che lei definiva «un po' italiano, ebreo e polacco, praticamente il sobborgo mafioso della città». Tura stessa, nel suo sito online, raccontava di come a scuola fosse diventata campionessa di atletica, e venisse a lungo discriminata e maltrattata dalle compagne, a causa delle sue origini, finché debuttò come modella di nudo e ballerina. Nel 1963 arrivò il primo ruolo al cinema – è una prostituta in una breve scena di Irma la dolce – poi la fama imperitura con il film di Meyer. Coi suoi pantaloni attillati, il seno debordante e quello sguardo da carogna. Indimenticabile.

Alessandro Trevisani

E’ MORTO GARY MOORE CHITARRISTA DI SKID ROW E THIN LIZZY



  




La sua fortuna iniziò nel 1968 quando il chitarrista si trasferì a Dublino dove formò gli Skid Row, band rock-blues sperimentale. Gli Skid Row si fecero conoscere sulla scena rock e in poco tempo furono chiamati ad aprire i concerti di importanti artisti, fra tutti i Fleetwood Mac di Peter Green, quest’ultimo influenzerà molto lo stile rock del chitarrista, tanto che Moore nel 1995 dedicò un l’album “Blues for Greeny“. Nella sua carriera Gary Moore ha suonato e collaborato con band ed artisti del calibro dei Thin Lizzy, Jack Bruce e Ginger Baker (Cream), Greg Lake, Cozy Powell, George Harrison, Ozzy Osbourne, i bluesman B.B. King, Albert King e Albert Collins.

martedì 25 gennaio 2011

Oggi Giorgio Gaber avrebbe compiuto 72 anni





AUGURI POETA!!!


"Un'idea, un concetto, un'idea, finché resta un'idea è soltanto un'astrazione. Se potessi mangiare un'idea, avrei fatto la mia rivoluzione". Sono tante le frasi, le canzoni e le brillanti provocazioni che ci ha lasciato Giorgio Gaberscik, in arte Giorgio Gaber, o il "Signor G" come lo chiamavano gli amici. Oggi, 25 gennaio, sarebbe stato il suo compleanno e avrebbe compiuto 72 anni, se non fosse morto di cancro il primo gennaio del 2003. Milanese doc, iniziatore insieme a Sandro Luporini del teatro canzone, è partito dalla passione giovanile per il rock'n'roll fino a diventare una delle voci più autorevoli del nostro cantautorato. E' stato un artista a tutto tondo, che ha avuto il coraggio di abbandonare il successo televisivo per rimettersi in gioco nei teatri, portando sul palco "Una persona piena di contraddizioni e di dolori", come era solito ricordare lui. Per non dimenticarci com'era, ammesso lo abbiamo fatto, ecco uno dei suoi classici, "La libertà", qui proposta durante una sua esibizione televisiva.L'ultimo disco lasciatoci dal Signor G, uscito postumo nel 2003 dopo la sua scomparsa, è stato "Io non mi sento italiano". Di questo disco vi proponiamo il brano omonimo, ironica riflessione sulla nostra identità nazionale e su cosa significhi essere italiano.