martedì 18 gennaio 2011

Basta coi cinema multisala ridateci il Jolly e il Marilòn






Girovagando allegramente sul Web mi sono imbattuto in questo simpatico articoletto che con parole semplici esprime una piccola parte dei miei pensieri sui cosiddetti tempi moderni.
Augurandomi che l'autore non la prenda male per questo scippo.. ma il pz. e carico di ricordi e umanità che solo chi ha vissuto quei tempi magnifici può ricordare
grazie Alberto




 di ALBERTO SELVAGGI 
Debbo recarmi al cinema. Ma non è più come ai miei tempi. Mi veggio costretto a digitare sul pc una password onde prenotare; m’appare una delle platee con i posti marcati, non mi ci raccapezzo affatto e il sito web mi respinge nel lebbrosario della mia vetustà. Mi reco adunque di persona in uno di questi mostri a molte sale. Ragazzaglia fa bastione e per raggiungere le biglietterie debbo valicarla. Finché un addetto alle casse (che morrà presto appestato) mi villaneggia agro: «Non può guardare i posti a sedere sul mio schermo, si faccia indietro con la testa», proprio mentre insinuo il collo nei suoi domini di schiavo malpagato.

Così, mentre seguo nella sala 4 una porcheria 3D in solitaria, amici, fraterni miei anziani, la memoria mi adagia nei cinema del bel tempo andato.

Ahi! Riveggio ancora, giovanetto, il primo schermo mobile disteso da Michele Fiorino in via Sparano, il Cinematografo nel suo studio di «fotografo premiato». Il Cavour, inaugurato nel ‘14, fetente di sigari e umanità assiepata. La fantasia, 50 centesimi e immagini venate bastavano a sognare. Che ne sapete, voi verdi capre dalla pelle ancora elastica? Piantato nel multisala con occhialetti lisergici infettanti risuscito Maciste all’inferno, primo sonoro del Politeama di via Ravanas: schiamazzi, sputi dei frequentatori popolani. Entravamo nell’Umberto, nell’Oriente con uno spago in tasca e all’uscita lo mulinavamo come Tom Mix nei film il lazo.

Altro che Galleria del piffero. Altro che Warner Village e Showville neonato. Cos’è per voi il Margherita, o giovinotti imminchioniti da pallette e alcol, o ragazzette scollacciate che girate porno in videofonino con i fidanzati? È soltanto un catafalco. Orbene, per noi vecchioni maceri fu la vita e l’amore, poiché nell’emiciclo, nelle gallerie, sulle seggiole toste si mangiava, si russava, ci si baciava tanto, si facevano i figli quando andava male. Dal ’46 fu un cinema di torri, lesene e pilastri. E fino al ’79 colà gustai western all’italiana, i mitici Dune Buggy e Maggiolino tutto matto.

Ah!, indimenticabili anni Settanta. Il Jolly di via Sagarriga spopolava con seconde e terze visioni, rassegne d’essai: 208 posti, oltre mille spettatori al giorno, cigomme attaccate sotto le sedute, asfissia nebbiogena, discussioni: pantaloni corti vietati dal gestore implacabile. D’estate rimiravamo il cielo di Palese nell’Arena Impero, a Santo Spirito l’Ariston schiudeva il tetto mobile. All’«Odeòne» (Odeon) i topinastri del quartiere San Pasquale entravano e uscivano come a casa loro. Battute formidabili dalle retrovie ed eruttazioni. Sovente i buontemponi, inarcando le terga traverso i tendaggi degli ingressi in sala, facean trombetta delle natiche, come direbbe Dante («ed elli avea del cul fatto trombetta»). E in ogni cinema ardevano sigarette a iosa, sì che la nube conferisse dignità comunitaria al cancro.

Nell’Orfeo di via Lattanzio ci si acquietava sul verde vellutato, il candore del Kursaal ci beava, l’Esedra risonava di rintocchi di campane. Nel primo Cinestudio di Pino Fizzarotti, via Fiorino, nella Filmeria, oggi Abc ristrutturato, ci atteggiavamo a intellettuali. All’Arena Giardino, all’Arena Moderna proiettavano film a puntate, famiglie con scorte di cozze, riso e patate. Al Carella in Carbonara, al Supercinema, ex Politeama, vidi le prime suore e badesse in erotismi indemoniati. Altro che le anatomie spiattellate da Youporn, RedTube e xHamster sui quali smanettate. E che dire del Marilon, primo cinema porno di Bari? «Lu Marilone» al principio rifilò Mazinga e pellicole sconsolate. Ma presto elargì una sana educazione sentimentale agli 800 onanistici paganti. Si raggiungeva via Carafa con il bavero alzato: in piazza Giulio Cesare alle 21 sbarcavano dai bus i provinciali, panzerotto al Nautilus prima dell’ultimo spettacolo, ore 22 spaccate. Al «Marilòn» nessuno ti chiedeva se avevi 18 anni: bastava munirsi di tute antibatteriche e sedersi sulle poltrone mirabilmente macchiettate di essudati.

Marina Frajese, Karin Schubert, Vanessa Del Rio, con la chiusura del Marilon negli Ottanta, degnamente supportato dal King in estate, cedettero il passo alle varie Jessica Rizzo, Animalia, Vampirella, Milly d’Abbraccio (non sfoggio che una briciola del mio sapere per non umiliarvi) nel Salottino magro. E adesso che anche questo è ridotto a teatro, cari fratelli miei mummificati, non ci resta che menarci nella fossa dei dimenticati. 

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