domenica 8 maggio 2011

L'auto storica italiana, in Italia


Considerazioni sui problemi delle vetture d’epoca “nostrane”

di Salvatore Loiacono (Omniauto)

In questo appuntamento con la rubrica Retrospettive di OmniAuto.it vogliamo fare il punto sull’auto storica in Italia e su come tutto il settore sia minacciato da una serie di pericoli. Non è il caso di ribadire qui concetti sulla fiscalità applicata alle auto d'epoca che, anzi, dopo anni di battaglie è diventata finalmente (e giustamente) favorevole, quanto piuttosto sulle difficoltà di gestione di un veicolo “vintage”, come sottolineato da Raffaele Laurenzi in un recente editoriale su Ruoteclassiche. Chi scrive, da circa dieci anni, si occupa di un particolare tipo di automobilismo storico, quel collezionismo che esula da iridati e costosissimi esemplari dal palmares sportivo e prende le distanze da quei modelli di elevatissima caratura, blasonati, ma che poco hanno a che fare con la funzione sociale dell'auto. Da qui vogliamo partire per analizzare rapidamente un aspetto dell’auto poco noto ai più, ma significativo dal punto di storico-sociale.

RIVALUTARE LA FUNZIONE SOCIALE DELL'AUTOMOBILE

L'intenzione, infatti, è sempre stata quella di portare alla ribalta anche un secondo aspetto dell'automobile, quello fatto di auto di tutti giorni, modelli che forse non saranno mai battuti in aste milionarie “per pochi eletti”, ma che – a vario titolo – rientrano nel vissuto della popolazione e per questo sono i simulacri di importanti pagine di vita sociale. E proprio verso questi esempi si è mosso negli ultimi anni il settore, rivalutando aspetti in passato bistrattati.L'ASI e i vari sodalizi, dal canto loro stanno facendo un enorme lavoro, da un lato per promuovere il culto “della conservazione” e dall'altro per favorire – in termini burocratici ed amministrativi – la gestione di un veicolo non più giovane benché “popolare”.

L'AUTO STORICA TRA BUROCRAZIA E CERTIFICAZIONI

Al riguardo l'Italia è arrivata con notevole ritardo rispetto ad altri analoghi casi: si pensi, soprattutto al Regno Unito (forse la realtà motoristicamente più affine alla nostra), dove c'è un'enorme cultura dell'automobile e dove la conservazione e l'uso quotidiano di vetture d'epoca è una realtà consolidata da decenni. Ed è in questo ritardo che risiedono i più gravi problemi della situazione italiana. Anche la Fiat (capogruppo del principale polo automobilistico nazionale che racchiude il 90% della produzione passata) non si è mai particolarmente distinta per la salvaguardia dei propri modelli fuori produzione.

RICAMBI PER LE ITALIANE: UN PROBLEMA

Mancando una tendenza alla conservazione, i vari registri storici (Alfa Romeo, Fiat e Lancia), i centri documentazione e i club di marca ufficiali garantiscono un supporto burocratico e formale, fatto di raduni, cene sociali, riunioni, periodici ed organi di stampa, “certificazioni di autenticità” e poco altro, lasciando ai piccoli sodalizi di provincia e alle community on-line la vera funzione di supporto tecnico e tecnologico. A differenza di quanto accade per BMW, Mercedes e, in generale, per le case tedesche, inglesi e per buona parte della produzione francese, non esiste in Italia una rete ben organizzata di produttori e di aziende specializzate nella diffusione di ricambi per auto d'epoca e la stessa Fiat garantisce (ormai da svariato tempo) la reperibilità di ricambi originali solo per dieci anni dall'uscita di produzione di ogni singolo modello, garantendo la piena assistenza solo per la Ferrari e le Maserati d'alta gamma curate dalla rete ufficiale.

VITTIME DEGLI INCENTIVI ALLA ROTTAMAZIONE

Quest'approccio “autodistruttivo” sta condannando a morte lenta migliaia di vetture di enorme importanza sociale (prima che storica). Le varie campagne di rottamazione hanno avuto l'effetto di un genocidio per il parco circolante: una vera “epurazione” che, se da un lato ha favorito il rinnovamento del parco circolante, dall'altro ha indotto un vero e proprio sterminio di modelli di potenziale interesse. Il pensiero corre, ad esempio, alle  Fiat Ritmo 105 TC, 125 TC e 130 Abarth oggi praticamente introvabili, colpevoli soltanto di non avere un marchio blasonato. L'appassionato, vista la penuria di ricambi, è spesso obbligato a vagare per negozi e negozietti di provincia o – peggio – per gli espositori delle mostre scambio e per i pochissimi grossisti dall'occhio lungo che acquistano regolarmente intere giacenze di magazzino dalla rete ufficiale, per poi immetterle sul mercato con il contagocce a prezzi giustamente “osceni”.

STORICHE ALLO SBANDO

Non mancano poi esercizi di scarsa lungimiranzada parte di chi avrebbe dovuto tutelare - a priori - il proprio prodotto. Si pensi ad esempio a piccoli capolavori di tecnica, come le Innocenti Mini turbo DeTomaso o le varie Autobianchi A112, si pensi ad Alfa Romeo particolari come le Alfetta ad iniezione meccanica, le 2.0 CEM o l'Alfa 90V6 2.0 alimentate con sistemi Spica - Alfa Romeo. Si pensi alle Lancia Gamma, alle Beta sovralimentate col volumetrico o alla Montecarlo. E mentre il museo Alfa Romeo di Arese è “chiuso per ristrutturazione”, mentre gli stabilimenti storici dell'automobilismo tricolore sono stati smantellati, mentre la collezione Fiat/Lancia resta un forziere chiuso. Per far fronte alla penuria di ricambi, orfani delle Case e dei produttori, gli appassionati si ingegnano in tutti i modi: dai gruppi di “mutuo soccorso” che riescono oltreoceano a far marciare ancora regolarmente le Beta Scorpion, ai forum dove ci si scambiano dritte su come adattare componenti di altri modelli o interi sistemi di gestione in caso di black-out irrimediabile degli impianti d'origine (con buona pace dell'autenticità).

DAL CULTO PER L'AUTO ALLA CULTURA DELL'AUTOMOBILE

La latitanza e - a volte - la scarsa professionalità degli organi ufficiali “di supporto” seppur poco nota, è di un'assurdità difficilmente digeribile. Ci sono modelli della produzione nazionale che racchiudono i contenuti intrinseci di un'intera epoca – non solo dell'auto, ma anche del nostro Paese – destinati all'estinzione perché non hanno un cavallino rampante sul muso. Ci sono esempi di tecnica che per essere adeguatamente valutati hanno bisogno di essere guidati, usati, perchè certi motori “non possono” rimanere fermi: non sono nati come oggetti da salotto. Però sembra che sia proprio questa la direzione: trasformare le storiche italiane in tanti enormi soprammobili da garage, il cui rombo, le cui vibrazioni sono relegate nella mente di quei pochi che se li ricordano. Se non riusciremo a convertire il nostro “culto” per l'automobile in “cultura” dell'auto, se dall'alto qualcuno non ne capirà l'importanza, dovremmo prepararci ad un futuro in cui sarà ancora possibile ammirare qualche splendida Citroen DS, lasciarsi affascinare da una BMW 635 CSI o da una Mercedes W124 ed in cui pochi si ricorderanno del rombo di un V6 “Busso” Alfa Romeo.

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