mercoledì 23 marzo 2011

Quegli happy days anni '50 tutti da ballare

La famiglia Cunnigham, protagnoista del telefilm cult, sale sul palco del Teatro della Luna. Un'idea della Compagnia della Rancia: dal 24 marzo al 10 aprile




di Diego Vincenti
Milano, 23 marzo 2011 - Sunday, Monday, Happy Days. E così via, ogni santa ora della settimana. Giorni felici da lunedì a domenica, mica uno scherzo. Anni Cinquanta statunitensi, veicolati dal tubo catodico. Un mondo rosa confetto, di serate al Drive In e Hamburger da Arnold’s, milk shake e pattini a rotelle, il rock’n’roll con le gonne al ginocchio, la giacchetta del capitano della squadra di football sulle spalle. Sogno o incubo? In ogni caso il telefilm più famoso (e borghese) della storia ora diviene musical.

Un’idea della Compagnia della Rancia, che ha pensato alla serie debuttata nel 1974 per la sua nuova produzione. Appuntamento allora al Teatro della Luna di Assago, da domani al 10 aprile, per proseguire poi in tournée fino a maggio (info: 02.488577516). Un successo annunciato. Che Fonzie e compagni hanno svezzato un paio di generazioni, ce li si porta dietro come parenti alla lontana. Qui nella versione italiana diretta da Saverio Marconi, trasposizione nostrana dell’opera di Garry Marshall, già creatore di Mork & Mindy prima di pescare il jolly con Pretty Woman. Con lui le musiche di Paul Williams e gli arrangiamenti di John McDaniel, ad accompagnare un cast tutto italiano, che si fa notare anche per l’imponenza della produzione.



«È uno spettacolo estremamente divertente – spiega Marconi –, tratto da un telefilm mito, votato come il più amato dagli italiani. Una serie lunghissima, che andò avanti per oltre un decennio, trattando di volta in volta diverse tematiche: dall’amicizia alla famiglia, dall’amore alla scuola, con i protagonisti a divenire degli esempi anche attraverso i loro sbagli. Qui ovviamente è come se portassimo in scena una sola puntata, in modo però da dare tutto il gusto della serie, l’intera atmosfera». Ispirato ad American Graffiti di George Lucas (ma altri smentiscono), «Happy Days» trasferiva l’italiano medio a Milwaukee, piccola provincia statunitense, nel salotto buono della famiglia Cunningham. Succederà lo stesso qualche decennio con i Robinson di Bill Cosby, altro sucessone.

Un microcosmo in compagnia del capofamiglia Howard, sua moglie Marion (la casalinga perfetta), i figli Richie e Joanie (fondamentalmente due babbi) e un vasto manipolo di amici, vicini di casa e fidanzate: Ralph, Potsie, Chachi, Alfred, Pinky. Loribeth. E, ovviamente, su tutti Fonzie, mito semi-proletario in giubbotto di pelle, Marlon Brando in scala ridotta, basette e carriera da meccanico, ufficio personale nel bagno del locale di riferimento e un intercalare divenuto presto tormentone: «hey!». E quanti si sono fracassati le falangi, cercando di accendere il juke box con un pugno? Solo Fonzarelli ci riusciva. Ora nei suoi panni, al posto del (bravissimo) Henry Winkler, Riccardo Simone Berdini, anima rock prestata al musical, già visto nel «Pinocchio» della Compagnia della Rancia. Con lui fra gli altri Giovanni Boni, Sabrina Marciano, Luca Giacomelli e Maria Silvia Roli. Musiche originali ispirate all’epoca, specie a certi cori vocali in stile Platters, che le rivoluzioni dei Sessanta devono ancora arrivare. In un allestimento tutto giocato sui vinili, gli scomparsi 45 giri. Giorni felici, non c’è che dire. In un vintage dai colori pop. Mentre ci si angustia per la prima sbronza o ci si interroga su come dare il primo bacio. Castissimo, niente da temere.

Peccato che quella stessa generazione finirà presto nel macello vietnamita. Vita vera, tenuta ben lontana dal giardinetto della casa unifamiliare. «È uno spettacolo che vuole intrattenere – conclude Saverio Marconi –, come già il telefilm. Si parla di vicende semplici, del quotidiano di ognuno. Solo Richie nel finale fa un accenno che le cose prima o poi si faranno veramente serie, ma si rimane a un livello più rilassato, con quelle piccole cose che forse anche dopo, nei momenti più difficili, verranno ricordate con affetto e nostalgia. Che poi era già il senso di un po’ tutto il telefilm».

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