martedì 8 febbraio 2011

James Dean, il mito della gioventù bruciata

L'ANNIVERSARIO. Una delle icone ribelli del secolo scorso. Berlino gli ha dedicato una mostra. Oggi avrebbe compiuto 80 anni ma morì che ne aveva appena 24 e tre film alle spalle. Ne era uscito solo uno, ma bastò a consacrarlo

Se il destino non l'avesse aspettato alle 17.49 del 30 settembre 1955 all'incrocio tra la Route 41 e la 46 a Cholame in California, oggi James Dean avrebbe compiuto 80 anni. La sua Porsche Rs Spyder 550 metallizzata, che lui aveva ribattezzato «Little Bastard», piccola bastarda, si scontrò con una Ford guidata da uno studente di 23 anni, Donald Turnipseed. Un quarto d'ora prima Jimmy era stato fermato da una pattuglia della polizia per guida pericolosa ed eccesso di velocità. Multato di venti dollari, era ripartito per Salinas, dove voleva seguire una corsa automobilistica. Non ci giunse, perché la Ford gli tagliò strada. E pensare che non correva nemmeno troppo, 55 miglia, 90 km orari, come rilevarono gli agenti. Morì durante il trasporto all'ospedale. Aveva 24 anni. E tre soli film alle spalle, ma che l'avrebbero consegnato al mito, facendolo diventare una delle icone ribelli del secolo breve.
In realtà, in quel momento, di film ne era uscito appena uno, nella primavera precedente, La Valle dell'Eden, di Elia Kazan. La sua tragica fine funzionò – cinicamente - da lancio per il secondo, Gioventù bruciata di Nicholas Ray, mandato in sala nemmeno un mese dopo, il 27 ottobre. Mentre il terzo, Il gigante di George Stevens, che era ancora in lavorazione, venne completato con una controfigura e messo in circolazione un anno dopo, quasi in coincidenza con l'anniversario della morte.
In tutti e tre i film Dean interpretava ruoli di giovani tormentati, ipersensibili, nevrotici, introversi, infelici, incompresi, divorati da un'inspiegabile inquietudine interiore che li porta verso l'autodistruzione. Personaggi che fecero di lui immediatamente un mito in cui, negli anni delle ansie create dalla Guerra Fredda e dalle ossessioni atomiche, la gioventù americana si rispecchiava. A quella generazione andavano stretti i modelli dell'era precedente. Sono gli anni in cui esplode il rock'n'roll con Chuck Berry, delle bande dei motociclisti che attraversano l'America, delle gang giovanili che si sfidano nelle periferie della grande città. Sono gli anni di altri film ribellistici, oltre alla trilogia di Dean, come Il seme della violenza di Richard Brooks (che nel 1955 lanciò Rock around the clock), Il selvaggio di Laszlo Benedeck con Marlon Brando, del musical West Side Story (la prima fu il 26 settembre 1957 e poi divenne un celeberrimo film nel 1961 con la regia di Jerome Robbins e Robert Wise).
Dean, come nel 1982 raccontò splendidamente Robert Altman nel film Jimmy Dean, Jimmy Dean, tratto da una commedia di Ed Graczyk, divenne il catalizzatore di speranze, sogni, illusioni, frustrazioni, aspirazioni irrealizzabili dei ventenni degli anni Cinquanta.
Se il cinema creò la sua icona, a conservarla ci pensò la fotografia, di cui lo stesso Dean era appassionato (fu lui a «contagiare» Dennis Hopper sul set di Gioventù bruciata). Gli scatti di Dennis Stock, Phil Stern e Roy Schatt, a partire da quelli famosissimi in cui cammina in mezzo a una strada, il primo con la cicca in bocca, le mani in tasca ma con i pollici fuori, il biondo ciuffo ribelle, gli abiti largi e spiegazzati (di Schatt), il secondo sempre con le mani in tasca, ma del cappotto, e la sigaretta in bocca, sotto la pioggia, con l'ombra che si proietta davanti a lui sul fondo stradale bagnato quasi come una premonizione dell'imminente destino fatale (di Stock), per oltre mezzo secolo sono entrati nelle stanze, nei bar, nei ritrovi giovanili sotto forma di poster, di specchio, di foto che tapezzano e ricamano le pareti.
E a queste foto il museo The Kennedys di Berlino, per celebrare l'ottantesimo anno della nascita di Dean, ha ora dedicato una mostra, aperta ancora sino a fine settimana. In 15 fotografie, alcune delle quali profondamente ancorate nella memoria collettiva, è illustrato il segreto del fascino del «Dean Style». Quello che lo ha fatto entrare tra le grandi icone del Novecento, accanto a Marilyn Monroe, Jim Morrison, John Lennon, eroi di un'inquietudine mai sopita e che si rilancia di generazione in generazione. Quello che fece a dire di lui ad Andy Wharol che era «l'anima malata e bella del nostro tempo».

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