giovedì 3 febbraio 2011

Anni '60, la nostalgia fa clic


Carnaby Street e la Swinging London, Mary Quant che presenta la sua minigonna in un night, il Cantagiro e Caterina Caselli. Ma anche mostri sacri del cinema come Orson Welles e Jean Luc Godard. E i facchini dei mercati generali, i primi emigranti italiani a Lugano e la veglia per Jan Palach, lo studente che si dette fuoco dopo l'invasione sovietica che stroncò la Primavera di Praga. 


Tornano ad accendersi sensazioni e umori del passato sfogliando le 80 foto in bianco e nero, che vanno dal 1964 al 1969, racchiuse nel volume "Anni felici" (Postcart) di Mario Orfini che sta arrivando in libreria. Produttore e regista (da "Porci con le ali" di Paolo Pietrangeli a "Il portaborse" di Daniele Luchetti), Orfini è stato uno dei più brillanti fotografi di reportage degli anni Sessanta: fotografava soprattutto per "L'espresso", ancora formato lenzuolo, accompagnando Camilla Cederna al Giro d'Italia o a intervistare Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo, documentando l'esplosione della cultura beat e la contestazione giovanile dal primo raduno nazionale dei "capelluti"- ossia i capelloni - vicino Novara nel 1966 alle assemblee degli studenti all'università di Milano, contro la riforma Gui. Erano "anni felici" quegli anni dell'Arcobaleno, come li chiama il giornalista Mario Nicolao nell'introduzione, in cui tutti erano interessati a tutto: c'era una giostra che girava vorticosamente, il nuovo arrivava da ogni direzione e sembrava davvero che il convergere di queste spinte creasse un'avanzata collettiva inarrestabile.

All'epoca Mario Orfini era un ragazzo arrivato da Chieti, Abruzzo, a Milano, dove si arrangiava facendo il correttore di bozze per una casa editrice. Un giorno lo licenziano ma - le cose al tempo correvano veloci - lui decide di rifarsi offrendo una bella cenetta al suo coinquilino. Che si chiama Mario Dondero, ed è un fotografo e ritrattista già affermato. Sarà il suo maestro: Dondero (oggi una leggenda vivente, in Italia e all'estero) presta a Orfini la sua preziosa Leica, lo porta in giro per Brera e il Bar Giamaica, il famoso caffè raccontato da Luciano Bianciardi ne "La vita agra", gli presenta un altro grande mago dell'obiettivo, Ugo Mulas. Adesso Orfini è pronto per gettarsi nella mischia.

Nel libro, copertina cartonata black con un'euforica Caselli in casco biondo d'ordinanza, le foto in movimento restituiscono con euforia il clima di quegli anni. Ecco il free jazz di Steve Lacy, Charles Mingus e John Coltrane a Milano e l'austera Juliette Gréco, musa esistenzialista dei cantautori nostrani (dopo esserlo stata di Sartre e Camus). Allora era casa Feltrinelli, in via Andegari, il salotto letterario più in voga di Milano, e Orfini ritrae Inge e Giangiacomo che ricevono con tutti gli onori Jack Kerouac e James Baldwin.

C'è un ritratto sorprendente di Salvatore Quasimodo, premio Nobel per la letteratura, quasi del tutto nero. Unico lampo, quello dell'accendino con cui il Maestro si accende la sigaretta. Dal glamour dello spettacolo l'obiettivo si allarga poi ai primi fermenti studenteschi, universitari con facce e abiti da cinquantenni occupano aule armati di ciclostile e brandine militari. Ma dietro l'angolo c'è la minigonna, i colori, la fantasia e la libertà delle ragazze che si scatenano in massa nello shake e nel twist. E ci sono Pier Paolo Pasolini, Gian Maria Volontè, Jean Luc Godard. Il bello è appena cominciato.

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